Tempo fa è girato sui social un breve ma interessantissimo video:

A parlare è uno Psichiatra e Rabbino, Abraham J. Twerski, e le sue parole sono molto (molto) interessanti.

L’analogia dell’interno dell’aragosta con il nostro interno (le nostre emozioni vulnerabili) e del suo guscio con le nostre difese (sia psichiche che i loro correlati corporei) è molto preziosa.

Le nostre difese non si espandono come il nostro interno emotivo vorrebbe: ma allora, come facciamo a crescere? Quelle difese sono estremamente limitanti e (pur proteggendoci) ci fanno sentire estremamente a disagio.

“Lo stimolo che permette all’aragosta di crescere nasce da una sensazione di disagio!”

“Se le aragoste avessero dottori che prescriverebbero farmaci, non crescerebbero mai!”

E noi, nella sua analogia?
Se in ogni momento difficoltà vogliamo sopprimere la sensazione di disagio, come potremmo mai crescere?
Ma quanto sappiamo stare nei momenti di difficoltà che arrivano? Quanto sappiamo stare nel disagio?
Quando possiamo contemplare l’idea di poter attraversare i momenti difficile per crescere, come fa l’aragosta?
O, al contrario, non appena vediamo e sentiamo in lontananza un disagio, non tolleriamo nemmeno un po’ l’idea di poterlo avvicinare e giriamo lo sguardo dall’altra parte con tutti i mezzi che abbiamo (chat, dipendenze, cibo, flirt, pensare ad altro, etc.)?

Ma in questo modo, povere piccole aragoste, come faremo a diventare delle aragoste adulte?

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- Luca Leoncini